Combattere la paura è dare voce alla rabbia. Cosa abbiamo visto in un pomeriggio nella Modena blindata.

Venerdì 3 maggio. Mentre le piazze del centro si riempiono e le scuole superiori si svuotano, nella stazione delle corriere di Modena si inizia a percepire l’imminente arrivo del ministro degli Interni Salvini, in città per un comizio a sostegno del candidato sindaco della Lega e dei suoi alleati neofascisti di Terra dei Padri, che tra la squadra di Prampolini hanno espresso i propri candidati.

Il Kapitano parlerà dal palco alle 14.30 in piazza Matteotti. Sono da poco passate le 13 che il presidio antirazzista organizzato dal collettivo Guernica viene immediatamente e completamente circondato da una quantità di celerini superiore a quella dei ragazzi chiusi all’interno del cordone di sicurezza armato: un’azione totalmente ingiustificata ma inesorabile, una situazione che vista da fuori è surreale, cilena. Il dissenso attivo e organizzato deve essere neutralizzato. I militanti sono chirurgicamente tenuti separati dalla città e dal suo corpo sociale.

I giovani studenti usciti dalle scuole impiegano poco tempo a raggiungere la stazione, ma dove solitamente attendono il loro autobus ci sono invece tre camionette dei Carabinieri e la scena che si sta consumando è chiara agli occhi di tutti: Salvini è arrivato a Modena e la polizia ne ha dato prova, di fatto sequestrando preventivamente i militanti e chi si vuole opporre al ministro leghista.

La rabbia, anch’essa, non tarda ad arrivare. Ma non arriva (solo) dall’interno del cerchio, da dove la si può aspettare: esplode improvvisa, imprevista, da fuori. Gli studenti, in gran parte minorenni, tanti, forse la maggior parte, appartenenti a quelle seconde generazioni nate da genitori immigrati che si sono viste togliere il diritto di avere gli stessi diritti dei propri compagni italiani con il no allo Ius Soli, vedono quello che sta succedendo: tanti sbirri contro pochi ragazzi, tanti robocop armati contro ragazzi come loro. E la reazione è istintiva, spontanea, non ragionata, ma si sente sulla pelle: intorno al cerchio di celerini si forma velocemente un altro cerchio, ben più numeroso, che toccherà al suo apice i 500 studenti, desiderano unirsi al corteo, liberare chi è imprigionato, unirsi ai cori, divisi da una vergognosa barriera di caschi e scudi.
Arrivano le minacce della digos e, infine, la violenza poliziesca. La polizia e i carabinieri caricano gli studenti da una parte e i manifestanti, intrappolati dentro al perimetro senza via d’uscita, dall’altra, più e più volte. Ma c’è chi non ci sta, c’è chi ritiene assurdo essere colpito da manganellate solo per aver solidarizzato con coloro a cui non va giù quello schifoso razzista e predicatore d’odio via social che comizierà in centro.

Gli studenti perciò, mentre i manifestanti continuano ad essere costretti dentro a quel terribile cerchio (qualche ragazzo è riuscito in qualche modo a liberarsi), decidono di reagire. Non è una decisione razionale, ponderata: è un moto di rabbia genuina e sincera contro chi in quel momento sta rappresentando plasticamente il potere su cui si reggono i Salvini di destra e di sinistra, la polizia, ma anche un istintivo desiderio di rivalsa contro lo specchio dei soprusi e degli abusi che i tutori dell’ingiustizia dispensano protetti dalla loro divisa. Chi per strada non ne ha mai subito uno? Chi non si è mai sentito intimidito dalla loro arroganza durante un controllo, solo perché nato da genitori marocchini, egiziani, senegalesi, nigeriani, albanesi, rumeni? Nella piazza si sente e si vuole fare ciò che è giusto, opporsi, unito alla volontà di fare qualcosa davanti all’ennesima ingiustizia, ingiustizia a protezione di un panzone razzista, che non ha mai lavorato in vita sua, che ha fatto la sua fortuna predicando odio inutile contro tutto ciò che può portare voti e denaro da intascarsi.

Gli studenti spontaneamente si fanno avanti, volano insulti, ortaggi, anche un paio di sassi, viene aperto un estintore, la tensione cresce al pari della rabbia. L’obiettivo sono le forze dell’ordine. I responsabili di queste azioni, però, non sono certo fantomatici “black bloc”, militanti politici navigati o “quattro zecche da centro sociale” come definiti dallo stesso Salvini, ma semplici ragazzi e ragazze di Modena, tutti giovanissimi, minorenni, che probabilmente mai avevano compiuto un atto di violenza in vita loro – in special modo contro il potere costituito – ma che evidentemente, oggi, ne hanno sentito il bisogno. Il bisogno di riappropriarsene, di non subire più, contro chi della violenza quotidiana è il fomentatore e dispensatore.

Le cariche continuano, i poliziotti spintonano e prendono a pugni chi si avvicina troppo, l’assembramento di studenti ondeggia, man mano diminuisce durante il lungo pomeriggio, ma resiste. Viene persino arrestato uno studente universitario, poi rilasciato, a cui va tutta la nostra solidarietà. Di cariche della polizia, una delle quali partita per difendere un leghista armato di un manganello telescopico arrivato con intenti provocatori contro gli studenti, se ne conteranno una decina entro le 17:00, momento in cui finalmente dopo quattro ore di estenuante attesa i militanti all’interno del cerchio vengono liberati e si potranno unire ai compagni e ai ragazzi rimasti ad attenderli.

Mentre tutto questo accadeva in stazione, in centro una piazza leghista di certo non piena – riempita solo grazie al grandangolo delle foto riprese leghiste – veniva assediata, contestata e subissata di fischi da almeno 400 modenesi senza bandiere, giovani, meno giovani, tante donne, scesi in strada appositamente o staccatisi dai presidi per dare il “non benvenuto” a Salvini e ai suoi accoliti di Terra dei Padri, passati armi e bagagli nella Lega nero-verde. La dura contestazione si protrae per tutta la durata del comizio, e arriva fin dentro la “zona rossa” transennata, dove alcuni sindacalisti vengono aggrediti dai svariati fascisti presenti di fronte agli occhi della digos presente. Il deflusso dei leghisti, anche per questo, viene scortato dalla polizia tra fischi e insulti.

Rabbia giovanile che cova sottotraccia, facilità poliziesca nel neutralizzare modalità di dissenso militante, il protagonismo delle seconde generazioni, l’organicità dei neofascisti nella Lega salviniana, l’ipocrisia pelosa di certa sinistra, il coraggio di chi nonostante tutto non cede alla paura. La voglia e la necessità di avere forza.
Sono solo alcuni squarci di quello che abbiamo visto a Modena il pomeriggio di venerdì.
Frammenti da leggere, interpretare e agire, con le lenti giuste: quelle partigiane.

Solidarietà e complicità a tutti i ragazzi caricati e colpiti dalla violenza della polizia, solidarietà ai compagni dello spazio Guernica.

[In foto: la piazza di Salvini vista da dietro; le violenze della polizia sugli studenti; la situazione in stazione]