24 Aprile 1945 – Due storie diverse di due donne staffette e partigiane

Due storie diverse di due donne staffette e partigiane che avevano deciso di combattere il nazifascismo e essere parte attiva nella liberazione della città di Reggio Emilia.

Nel1944 Liliana Corradini (Mara) ha 18 anni, proviene da una famiglia contadina e fervente antifascista e lavora come mezzadra.

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Non vi è pace / in questo 22 Aprile

22 aprile 1945. L’insurrezione armata di massa, dopo mesi di guerriglia, combattimenti e attentati che hanno portato il terrore tra le fila del nemico, libera autonomamente Modena dal nazifascismo e istituisce l’autogoverno partigiano. Gli ultimi criminali repubblichini sono in fuga insieme alle armate tedesche in rotta. Molti di loro cercheranno, negli ultimi momenti, di svestire la camicia nera, rinnegando la propria scelta di servire le forze dell’oppressione, ma saranno lo stesso raggiunti dalla giustizia partigiana.

La memoria non si cancella. Non è condivisa, non è pacificata, è irriducibilmente di parte. Un campo del conflitto. Anche oggi, soprattutto oggi.

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Una storia che ci riguarda: Gabriella Degli Espositi

Quella che vi raccontiamo oggi è una storia che ci riguarda.
Che fa parte della nostra storia collettiva, che fa parte della nostra terra, che fa parte del nostro presente e del motivo per cui c’è ancora bisogno di non rimanere indifferenti, di lottare, di essere partigiani.
È la storia di una donna. Di una combattente. Di una comunista.
Il suo nome è Gabriella Degli Esposti, nome di battaglia Balella, medaglia d’oro della Resistenza.

Gabriella nasce nel 1912 in una famiglia di lavoratori socialisti di Crespellano, vedendo fin da piccola il trattamento persecutorio che lo Stato, prima liberale e poi fascista, garantiva ai «sovversivi» che credevano e lottavano per un ideale di uguaglianza e giustizia come suo padre. Negli anni Trenta, in piena dittatura fascista, invece di rassegnarsi al regime trasforma il caseificio di Piumazzo che gestisce insieme al marito Bruno Reverberi in un punto di riferimento degli antifascisti locali.

 

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Il distaccamento Katiuscia di Reggio Emilia

Il distaccamento Katiuscia della 37esima brigata partigiana GAP operava a est della città di Reggio Emilia, in località San Maurizio.

La mattina del 24 aprile 1945, dopo aver liberato tutta l’area dove oggi si trova l’incrocio tra la via Emilia, via Pasteur e la rotonda della tangenziale, le/i partigiane/i del Katiuscia aggirano il campanile di San Maurizio (da dove i cecchini fascisti, a protezione dell’ormai abbandonata postazione del comando tedesco all’interno del San Lazzaro, facevano partire raffiche di mitragliatrice) per attraversare il torrente Rodano sul ponte ferroviario (quello viario lo avevano fatto saltare i tedeschi con la complicità dei fascisti) e arrivare all’altezza del padiglione Esquirol in via Emilia Ospizio.

Da lì le/i partigiane/i del katiuyscia liberano l’attuale Villaggio Stranieri.
Nel frattempo le altre brigate partigiane convergono sulla città.
Alle ore 16 del 24 aprile 1945 Reggio Emilia è libera dal nazifascismo.

Storie di antifascismo modenese. I GAP e la 65a brigata “Walter Tabacchi” a Modena

I Gap erano nuclei di partigiani clandestini composti da 3 o 4 uomini creati per la guerriglia urbana antifascista e antinazista nelle grandi città, combattuta anche nelle sue forme più “estreme” come l’uccisione di esponenti della Rsi e di ufficiali nazisti oltre che di collaborazionisti e delatori. Proprio per la loro particolare attività, i Gap erano strutturati come rigorosamente isolati e separati dal resto delle altre organizzazioni della Resistenza e composti solo da elementi legati e formati nel Partito comunista clandestino. Gli stessi gappisti erano in contatto solamente con i componenti della loro piccola squadra e ne conoscevano solo i nomi di battaglia.

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10 febbraio, foibe e dintorni: consigli di lettura #5

L’8 febbraio 1943 Lepa Radić, una partigiana jugoslava di 17 anni dalla Bosnia-Erzegovina, veniva impiccata dai nazisti.

Era stata arrestata nel 1941 insieme ad altri membri della sua famiglia, ma era riuscita a fuggire insieme a sua sorella Dara, entrando nella settima compagnia partigiana del secondo distretto di Krajiški. Nella grande battaglia della Neretva, tuttavia, fu catturata e dopo giorni di torture condannata a morte in quanto “bandito antifascista”. Mentre il cappio era legato al collo, i suoi aguzzini nazisti le offrirono di avere salva la vita se avesse tradito e confessato i nomi dei suoi compagni e delle sue compagne. Lei rispose che non era una traditrice, e che i suoi compagni si sarebbero rivelati quando sarebbero venuti a vendicare la sua morte.

Questo è solo uno dei tanti esempi di atrocità di cui si macchiarono i nazifascisti tedeschi e italiani nei territori occupati dei Balcani: campi di sterminio, pulizia etnica, omicidi di massa, fucilazioni di civili, torture… Atrocità oggi volutamente nascoste dietro il fantomatico “genocidio di italiani” ricordato il 10 febbraio dalle destre neofasciste, le quali si presentano come “vittime innocenti” dell’odio “slavocomunista”, ribaltando il ruolo degli oppressori in oppressi. Con la manipolazione e la strumentalizzazione della storia intorno alle foibe, i gruppi nazifascisti sono stati sdoganati e legittimati dalle istituzioni della Repubblica italiana.

Ma di cosa si parla quando si parla di “foibe” e di “esodo”?
Qui sotto trovate ventiquattro risposte ad altrettante domande sull’esodo istriano. Domande basate su quell’insieme di stereotipi e omissioni che ci piace chiamare «l’ideologia del Giorno del ricordo». Ventiquattro chiarimenti, uno per ogni ora del 10 febbraio. Buona lettura.

#Foibe o #Esodo? «Frequently Asked Questions» per il #GiornodelRicordo

 

10 febbraio, foibe e dintorni: consigli di lettura #4

Continuiamo il nostro percorso di approfondimento verso il 10 febbraio. Per noi rimane fondamentale e necessario raccontare la storia per quella che è stata, secondo gli strumenti della ricerca storico-scientifica, utilizzando fonti documentarie, riferendosi alle indagini di seri ricercatori e storici di professione.
La manipolazione e la revisione della storia effettuata delle destre estreme, e poi istituzionalizzata, va combattuta riaffermando una lettura che rimetta al loro posto gli oppressori e i criminali di guerra, celebrati nel “giorno del ricordo” come vittime innocenti, in modo da legittimare, nel mondo di oggi, i loro successori: i neofascisti e la loro ideologia di morte e sfruttamento.

Per questo motivo, oggi riproponiamo un articolo, sempre tratto da Internazionale, nel quale il collettivo Nicoletta Bourbaki ha chiesto a sette storici di rispondere alla domanda: in cosa consiste la “più complessa vicenda”?

Ogni anno si sente ripetere dai mezzi di informazione che gli infoibati tra 1943 e 1945 furono almeno diecimila, e si parla spesso di un genocidio della popolazione italiana paragonabile alla shoah per crudeltà se non per i numeri. È credibile tutto ciò?

Leggi l’articolo su Internazionale

10 febbraio, foibe e dintorni: consigli di lettura #3

Nell’intestazione: Italia, 1935-1936. Cartolina “umoristica” disegnata da Enrico De Seta e destinata alle truppe impegnate in Africa Orientale.

Riteniamo fondamentale ripercorrere le vicende intorno al 10 febbraio e alla “questione foibe” attraverso indagini storiche, inchieste scientifiche, opere di seri ricercatori e scrittori accademici, per demistificare la retorica revisionista rispetto al fantomatico “genocidio di italiani” commemorato insieme da neofascisti e istituzioni italiane durante il “giorno del ricordo” del 10 febbraio.

Questa volta vogliamo farlo proponendo la lettura di “Foibe. Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica” (KappaVu, 2008), una raccolta di saggi che, attraverso gli strumenti della ricerca d’archivio e dell’indagine storico-scientifica, consente una lettura complessiva e sfaccettata sia della questione storiografica riguardo ai fatti di epurazione e giustizia politica avvenuti sul fronte orientale nel periodo 1943-1945, sia del suo uso strumentale ai fini della mobilitazione nazionalista, della diffusione di stereotipi razzisti, della legittimazione dei fascismi odierni e della criminalizzazione di chi oggi non si piega alle compatibilità del sistema vigente.

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