«Per non dimenticare», si dice.

Ieri era il giorno della memoria: il 27 gennaio 1945 Auschwitz veniva liberata dall’Armata rossa sovietica.

Non abbiamo voluto sovrapporre la nostra voce al coro di vacue celebrazioni istituzionali, rituali dichiarazioni politiche e fugace interesse mediatico che interessa questa giornata una volta l’anno. Pensiamo che il vero significato del 27 gennaio abbia a che fare con il quotidiano, con il riannodare i fili del tempo all’oggi, al mondo e alla società in cui viviamo. Un significato che, però, è stato coperto da montagne di ipocrisia.

«Per non dimenticare», si dice.

Oggi si sentono queste e molte altre belle parole sulle tragedie del razzismo, della dicriminazione legalizzata e dello sterminio organizzato proferite da chi, per pura speculazione elettorale e interessi di bottega, per anni ha quotidianamente fatto riemergere dall’oscurità della storia occidentale discorsi come “difesa della razza”, “sostituzione etnica”, “invasione straniera”, “sangue e suolo”, piantandoli come semi infetti nelle pance degli impoveriti e degli incazzati, e additando dei capri espiatori come responsabili della miseria.

Contemporaneamente, abbiamo sentito le stesse belle parole da parte di chi, sempre per tornaconti elettorali ma anche interessi economici, oggi non ha esitato a varare dispositivi razziali di governo e legislazioni xenofobe, riaprendo veri e propri campi di concentramento con detenzione su basi etniche, effettuando rastrellamenti e internamenti, organizzando deportazioni, rendendo legale lo schiavismo, prendendo accordi con torturatori e aguzzini, impedendo di salvare vite umane nel Mediterraneo.

Si ricordano i vagoni blindati diretti verso la Polonia ma non si vedono i pullman, gli aerei, i treni europei stipati come carri bestiame di migranti selezionati, schedati, numerati, ammanettati, detenuti, deportati.

Si ricorda la fuga disordinata e di massa delle popolazioni ebraiche, slave, sinti di fronte all’avanzata della Wehrmacht e delle SS naziste, ma non interessa la sorte di siriani, iracheni, afghani, somali, eritrei, nigeriani, sudanesi in fuga dall’islamismo jihadista, da regimi sanguinari, dalle bombe occidentali e dai mille volti del fascismo, contro cui si invocano muri, reti, filo spinato ed eserciti, o che li inghiotta il mare.

Si ricorda il prodotto finale delle leggi razziali nel cuore dell’Europa, ma non si vede l’apartheid di fatto nelle banlieus francesi, nelle periferie italiane, nelle regioni turche e nelle città israeliane.

Si ricordano i lager per tutte quelle categorie “indesiderate” e “pericolose” – comunisti, sovversivi, omosessuali, ladruncoli, malati, zingari, slavi, ebrei – ma si fa finta di niente sui campi di concentramento e tortura per migranti dentro e ai bordi dell’Europa: i CIE, i CARA, gli hot-spots in Libia, Turchia, Grecia, dove a migliaia sono sistematicamente rinchiusi, seviziati, uccisi.

Si ricordano gli orrori dei regimi fascisti del passato, ma non si vedono quelli delle nostre “care democrazie”, sostenute da legislazioni sempre più autoritarie, emergenziali, repressive, da Stati di polizia che seppelliscono sotto anni di galera chi osa dimostrare che ribellarsi a tutto questo è possibile.

La memoria del passato, per evitare il ripetersi di tragedie che potevano essere fermate in tempo, non serve a niente se non si trasforma in pensiero critico e azione nel presente.

E voi, oggi come allora, siete sicuri da quale parte della Storia sareste stati?