Nell’intestazione: Italia, 1935-1936. Cartolina “umoristica” disegnata da Enrico De Seta e destinata alle truppe impegnate in Africa Orientale.
Riteniamo fondamentale ripercorrere le vicende intorno al 10 febbraio e alla “questione foibe” attraverso indagini storiche, inchieste scientifiche, opere di seri ricercatori e scrittori accademici, per demistificare la retorica revisionista rispetto al fantomatico “genocidio di italiani” commemorato insieme da neofascisti e istituzioni italiane durante il “giorno del ricordo” del 10 febbraio.
Questa volta vogliamo farlo proponendo la lettura di “Foibe. Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica” (KappaVu, 2008), una raccolta di saggi che, attraverso gli strumenti della ricerca d’archivio e dell’indagine storico-scientifica, consente una lettura complessiva e sfaccettata sia della questione storiografica riguardo ai fatti di epurazione e giustizia politica avvenuti sul fronte orientale nel periodo 1943-1945, sia del suo uso strumentale ai fini della mobilitazione nazionalista, della diffusione di stereotipi razzisti, della legittimazione dei fascismi odierni e della criminalizzazione di chi oggi non si piega alle compatibilità del sistema vigente.
Interessante, tra i diversi saggi, quello di Sandi Volk. Già da tempo lo storico, attraverso pazienti ricerche e confronti, ha dimostrato il senso del 10 febbraio. Nel suo bell’intervento chiarificatore intitolato “Che cosa ricorda la Repubblica?” ha fatto un’inequivocabile luce sulla legge 92 del 30 marzo 2004 con cui venne istituita la Giornata del Ricordo e soprattutto su chi viene effettivamente ricordato. Dalle sue analisi, condotte soprattutto grazie al confronto delle stesse fonti utilizzate per concedere i riconoscimenti, è emerso chiaramente il quadro di quello che si ricorda: non civili italiani dell’Istria infoibati perché italiani, ma repubblichini, collaborazionisti, fascisti, miliziani di Salò, camicie nere, militari italiani inquadrati nelle formazioni al servizio dei nazisti in Istria, spesso provenienti da regioni troppo distanti dall’Istria stessa per poter essere considerati istriani, delatori e criminali di guerra che si sono macchiati di eccidi di massa, torture e sevizie, omicidi di civili e di antifascisti nei territori occupati nella guerra di invasione della Jugoslavia. Il 73% dei riconoscimenti della Repubblica italiana a “infoibati” è andato a coloro che portano enormi responsabilità nella lotta antipartigiana e nei crimini commessi contro civili inermi, inclusa la consegna ai nazisti di numerose persone finite nel campo di sterminio della risiera di S. Sabba o nei campi di concentramento in Germania. Tutto documentato con dovizia di particolari e fonti d’archivio, tanto che ne fece parola anche il Corriere della Sera nel 2015 (Foibe, 300 fascisti di Salò ricevono la medaglia per il Giorno del Ricordo).
Un esempio? Un caso già conosciuto è quello di Vincenzo Serrentino, ultimo prefetto di Zara (nel 1944, si badi bene) fucilato dopo regolare sentenza dalle autorità jugoslave nel 1947. Ai familiari di Serrentino è stato consegnato il riconoscimento nel 2007, senza accennare (ma loro forse lo sapevano, sono tutti gli altri che non lo sanno) al fatto che lo stesso Serrentino ebbe a Zara e Sebenico un ruolo di primo piano nella guerra contro gli antifascisti e nei crimini contro la popolazione civile croata.
Insomma, si ricordano di fatto caduti italiani nazifascisti, ponendo ancora una volta in continuità, verrebbe da dire, l’Italia repubblicana a quella fascista e poi repubblichina.
Leggi il precedente intervento: 10 febbraio, foibe e dintorni: consigli di lettura #2