Macerata: il punto di non ritorno

A quattro giorni da un attentato terroristico di matrice fascista e razzista, che poteva costare la vita a 11 persone, le autorità dello Stato autorizzano comizi pubblici ai leader di Forza Nuova e Casapound, Roberto Fiore e Simone Di Stefano, concedendo spazi a quei soggetti politici da cui proveniva chi ha compiuto quell’attentato. È questa la risposta politica delle istituzioni al pogrom mancato.

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10 febbraio, foibe e dintorni: consigli di lettura #3

Nell’intestazione: Italia, 1935-1936. Cartolina “umoristica” disegnata da Enrico De Seta e destinata alle truppe impegnate in Africa Orientale.

Riteniamo fondamentale ripercorrere le vicende intorno al 10 febbraio e alla “questione foibe” attraverso indagini storiche, inchieste scientifiche, opere di seri ricercatori e scrittori accademici, per demistificare la retorica revisionista rispetto al fantomatico “genocidio di italiani” commemorato insieme da neofascisti e istituzioni italiane durante il “giorno del ricordo” del 10 febbraio.

Questa volta vogliamo farlo proponendo la lettura di “Foibe. Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica” (KappaVu, 2008), una raccolta di saggi che, attraverso gli strumenti della ricerca d’archivio e dell’indagine storico-scientifica, consente una lettura complessiva e sfaccettata sia della questione storiografica riguardo ai fatti di epurazione e giustizia politica avvenuti sul fronte orientale nel periodo 1943-1945, sia del suo uso strumentale ai fini della mobilitazione nazionalista, della diffusione di stereotipi razzisti, della legittimazione dei fascismi odierni e della criminalizzazione di chi oggi non si piega alle compatibilità del sistema vigente.

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Sulle foibe e per non cadere nel revisionismo storico

Le foibe sono caverne ed aperture carsiche a forma di imbuto rovesciato presenti principalmente nel terreno dell’Altopiano Carsico.

Per poter analizzare i fatti degli anni ’40 legati alle foibe bisogna guardare la storia che ha preceduto questi anni.

Nel 1866 il Regno D’Italia espanse i propri confini fino ad inglobare il Friuli ex-veneziano, dov’era presente una non trascurabile componente slava. Il Regno puntò quindi all’italianizzazione obbligata e forzata di questa popolazione, incurante di cultura e tradizioni proprie del luogo. In seguito alla prima guerra mondiale, si continuò l’accanimento contro l’etnia slava presente sul territorio italiano tramite espropri ed internamenti accusando gli individui facenti parte della stessa di essere “austricanti” (fedeli al vecchio governo asburgico). Nel luglio 1920 iniziò una forte persecuzione da parte degli squadristi fascisti nei confronti degli slavi, che culminò nell’incendio nella casa del popolo degli sloveni. La componente ideologica anti-slava che si era creata era così forte che gli scioperanti della rivolta di San Giacomo del 1920 vennero accusati di essere agenti jugoslavi. Nell’Italia fascista l’accanimento si perpetrò in maniera superiore rispetto agli anni precedenti. Vennero italianizzati forzatamente toponimi e cognomi, chiuse le scuole slave, venne vietato parlare, scrivere e cantare in lingua slava.

Quando si parla di foibe, ci si riferisce a due momenti: il settembre 1943 ed il periodo tra maggio e giugno 1945.

Nel settembre 1943, basandosi su documenti storici dell’epoca, come la relazione Cordovado, dopo l’armistizio firmato con gli Alleati, i militari italiani furono lasciati soli ai vertici dell’esercito. A causa di questa debolezza, i militari consegnarono le armi alle prime pressioni delle formazioni partigiane, che presero rapidamente il controllo di svariate zone istriane. In questo periodo vennero infoibati circa 300 individui compromessi col regime fascista. Alla fine di settembre, i nazisti ripresero il controllo della regione, utilizzando metodi come il bombardamento a bassa quota dei centri abitati e l’uccisione di chiunque non sapesse giustificare in lingua tedesca la sua presenza in strada, causando più di 3.000 vittime. Dopo la riconquista i nazisti cominciarono a strumentalizzare le foibe al fine di dipingere i partigiani come pericolosi per la popolazione civile e mostrare il potere nazista come difensore della stessa. Questa macchinazione venne attuata tramite la pubblicazione di articoli, pubblicazioni e foto truculente di cadaveri semidecomposti di soggetti infoibati. Da ciò si può evincere chi realmente mise a ferro e fuoco l’Istria nel 1943.

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Solidarietà ai lavoratori Castelfrigo in lotta!

Stamattina siamo stati Castelnuovo Rangone a fianco degli operai Castelfrigo in lotta, che hanno deciso di bloccare i cancelli e non far passare le merci e i crumiri assoldati dall’azienda.

Tramite l’agenzia interinale Sapiens, infatti, il padrone ha deciso di assumere 25 lavoratori che non fanno parte degli operai licenziati dalle false cooperative che operavano in appalto, e che stanno scioperando da oltre 4 mesi davanti alla fabbrica.

Una decisione inaccettabile: vengono licenziati e tenuti fuori i 75 lavoratori che hanno avuto il coraggio di denunciare e lottare contro il sistema di caporalato, sfruttamento e profitto mafioso delle false cooperative all’interno dell’azienda, mentre sindacati gialli come la CISL firmano accordi vergogna per spezzare il fronte operaio e il padrone assume crumiri per bloccare lo sciopero.

Come lavoratori e antifascisti la nostra solidarietà attiva ai picchetti non poteva mancare.

Oggi come non mai crediamo che siano da rifiutare le logiche sindacali o partitiche che guardano solo al proprio orticello o ai propri interessi di bottega, logiche che dividono le lotte deglli operai con lo stesso sfruttamento, con gli stessi padroni, con gli stessi problemi.

Noi sappiamo che ci sono solo due razze: gli sfruttati e gli sfruttatori. Per questo ci troverete sempre dallo stesso lato della barricata.

10 febbraio, foibe e dintorni: consigli di lettura #2

Nell’intestazione: Italia, 1935-1936. Cartolina “umoristica” disegnata da Enrico De Seta e destinata alle truppe impegnate in Africa Orientale.

Continuiamo il nostro percorso di approfondimento sul significato sostanziale del 10 febbraio (il “giorno del ricordo“) e sull’imperare nel nostro paese di un forte revisionismo storico che, sotto la spinta dell’estrema destra, si è istituzionalizzato.

Lo facciamo riprendendo questo articolo del 2016, a firma di diversi studiosi, storici, scrittori e associazioni che lottano contro la manipolazione della storia, il suo travisamento e la sua falsificazione. Questa riscrittura della storia è funzionale allo sdoganamento politico e ideologico delle attuali organizzazioni fasciste e della destra radicale, che sono considerate ormai come partner politici ed elettorali del tutto legittimi. Queste formazioni sono facili strumenti da utilizzare contro i movimenti politici e sociali non compatibili con l’attuale sistema politico, come dimostra il crescendo di azioni squadristiche sempre più gravi.

“Ogni 10 febbraio i mass media italiani non perdono l’occasione per raccontare una storia parziale e distorta del confine orientale, spesso basandosi su dati falsi o manipolati dalla propaganda neofascista. Il dibattito cui assistiamo ogni Giorno del Ricordo sui mass media italiani appare pesantemente condizionato da omissioni e censure che possono essere lette come una spia del perdurare di un pericoloso vittimismo nazionalista all’interno della cultura e dell’informazione italiana”.

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A Macerata un unico movente: Luca Traini è un fascista

Macerata.

Dopo l’orrendo delitto di una giovane ragazza, commesso secondo gli investigatori da uno spacciatore nigeriano, una 147 nera si aggira per le strade della città. A un certo punto rallenta, e si accosta a fianco di un gruppo di persone sul marciapiede. Il finestrino si abbassa. Dall’interno partono colpi di pistola sulla gente inerme. La macchina se ne va, lasciando corpi a terra e il marciapiede ricoperto di sangue.

La scena si ripete in altre strade: la macchina arriva, il conducente spara sulla folla, e riparte, continuando la sua corsa assassina. Sono 7 i feriti, alcuni in gravi condizioni. Una morsa di panico stringe la popolazione di Macerata: è in corso un attentato terroristico. Le modalità sembrano quelle dei lupi solitari dell’ISIS, anche se, andando indietro con la memoria, ricordano quelle della Uno Bianca. Dopo tanti allarmismi alla fine è successo: il terrorismo è arrivato in Italia, ha sparato sulla folla, colpendo inermi e innocenti nel mucchio.

Le vittime, però, si viene a sapere che sono tutti immigrati. Africani. Di pelle nera. Con la colpa di avere il colore sbagliato e risiedere nel quartiere dove è avvenuto giorni prima il fatto di sangue, subito morbosamente ripreso dai media nazionali e sfruttato come argomento della campagna elettorale xenofoba di tutti i partiti “dalla parte della gente”.
La città è bloccata, le forze dell’ordine sono all’inseguimento della 147 nera. Quando il terrorista viene finalmente braccato vicino al monumento ai caduti, scende dall’auto con una bandiera italiana sulle spalle, urla “Viva l’Italia” e fa il saluto romano ai poliziotti, prima di essere fermato.

È Luca Traini, 28 anni, una runa nazista tatuata in testa e candidato della Lega di Salvini alle amministrative di Corridonia del 2017, simpatizzante del famoso «movimento vitale e pulito» di Casapound sponsorizzato da Enrico Mentana e Corrado Formigli.

Luca Traini è un fascista. È quello che Salvini e la Meloni chiamano “una persona perbene” o un “cittadino esasperato”. Oggi Forza Nuova, battendo sul tempo Casapound, lo chiama patriota e ne rivendica il gesto terrorista. Potrebbe essere il tipico frequentatore di Terra dei Padri, se abitasse a Modena: ha il profilo esatto dell’ “identitario non conforme”. Un difensore della “razza bianca” – come direbbe moderatamente qualsiasi candidato della Lega, di Fratelli d’Italia, di Casapound o Forza Nuova – contro il “mondialismo”, la “sostituzione etnica”, “l’invasione”. Un tipico “italiano stanco”, insomma, secondo le giustificazioni che politica e media sistematicamente danno a episodi di razzismo, discriminazione e violenza conclamati. Stanno già da ora provando a minimizzare, a impostare la cornice del discorso sul “gesto di un folle”, sul problema dell’“invasione pianicata”, andando a inventarsi persino un infame nesso “passionale” con l’omicidio di Pamela Mastropietro. Non si fa accenno che si tratti di vero e proprio terrorismo politico.

Ma davvero c’è chi si stupisce di quello che è successo a Macerata? Pensavano che coltivare xenofobia e fomentare razzismo quotidianamente, farli passare come “opinioni come le altre”, per avere più ascolti o raggranellare qualche voto in più, invitare ogni giorno i fascisti in televisione, coccolarli in presa diretta, sdoganarli pubblicamente, legittimarli politicamente, autorizzarne sedi, adunate, comizi e cortei nelle piazze, minimizzarne la pericolosità e riabilitarne la storia – tanto per restare in tema di “foibe” e “giornata del ricordo” – in nome del «confronto democratico», avrebbe comportato qualcosa di diverso?

Non è follia; non è esasperazione: è terrorismo di stampo razziale e fascista, politicamente motivato e culturalmente giustificato dal clima d’odio xenofobo e nazionalista che si respira ogni giorno. «Ma è il 2018! Ancora a parlare di fascismo e antifascismo? Siete ossessionati! Il fascismo è roba del passato! E in fondo son bravi ragazzi che danno la pasta agli italiani! Non è razzismo, è la gente che è stanca! Sono quattro gatti, ignorateli!» Peccato che siano i fascisti e i razzisti a non ignorare le loro vittime: immigrati, donne, sindacalisti, operai che lottano, studenti antirazzisti, militanti antifascisti. Chiunque si frapponga ai loro progetti infami.

I fascisti seminano odio e terrore, e uccidono da sempre. Le aggressioni di questa matrice sono quotidiane.

Vanno avanti da anni e anni, in un’escalation sempre più violenta e impunita. In molte si è sfiorato il morto, come a Cremona nel 2015, quando sessanta esponenti di Casapound armati di mazze hanno ridotto in coma Emilio Visigalli. In altre i morti ammazzati ci sono stati eccome: Davide Cesare nel 2003 a Milano, Renato Biagetti a Focene nel 2006, Nicola Tommasoli a Verona nel 2008, Samb Modou e Diop Mor a Firenze nel 2011, Ciro Esposito nel 2014, Emmanuel Chidi Namdi a Fermo nel 2016, Anna Carusone a Caserta, poche settimane fa.
I fatti di Macerata non ci stupiscono affatto. Sono la normale conseguenza del veleno razzista che ha inquinato i pozzi della rabbia e dell’insofferenza diffusa, del clima d’odio fabbricato da sciacalli in cerca di voti o ascolti e respirato in Italia dagli impoveriti e dagli incazzati; sono l’inevitabile risultato della normalizzazione del fascismo – dalla sua patina democratica in giacca e cravatta alle cacce all’immigrato per le strade – in tutte le sue forme all’interno delle istituzioni e della società; è la coerente conclusione dell’indifferenza di tutti coloro che hanno preferito girarsi dall’altra parte quando, nel loro piccolo, potevano fare qualcosa per rifiutare attivamente tutto ciò. La storia degli anni Trenta del Novecento non ha insegnato niente.

Ci stringiamo a tutte le persone ferite, a chi sta lottando per la vita, a chi ha un proprio affetto all’ospedale, a chi è terrorizzato. Non siete soli.
I fatti di Macerata hanno dei precisi “mandanti”, e noi sappiamo chi sono. Sono quelli da cui ci sentiamo dire, ogni giorno, che gli immigrati non scappano dalla guerra, ma che ce la portano. Oggi è stata l’ennesima dimostrazione che la guerra, come sempre, è portata dai fascisti, dai razzisti e dai loro padroni che li proteggono.

Vanno fermati. E non sarà con i buoni sentimenti che tutto ciò sarà fermato. Di questo occorre prendere coscienza.

Gli impresentabili delle politiche 2018: Gianni Tonelli

Dopo aver presentato su queste pagine l’impresentabile Filippo Berselli, “nuovo che avanza” di CasaPound, oggi ci spingiamo nella sezione “sbirri per gli sbirri” della Lega.

#Diaz... "Parlare di tortura mi sembra eccessivo". #Aldrovandi... "Quella persona è morta per l’assunzione di eroina, ketamina e alcol”. #Cucchi... "Se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze". - Gianni Tonelli, segretario del Sap, capolista della Lega a Bologna.

 

Lo ricordiamo qualche anno fa, sotto le due torri, sul palco della Lega. Già lì si mostrarono simpatie che oggi hanno portato alla candidatura per il collegio plurinominale di Bologna di Gianni Tonelli, segretario del SAP (sindacato autonomo di polizia). La figura, che a più riprese è entrata nel dibattito riguardo alcuni casi di violenza da parte dello Stato e delle Forze dell’ordine, è sempre stata spalleggiata da Matteo Salvini, ma questa volta proporlo in una città fortemente vicina alle drammatiche storie di ragazzi come Cucchi e Aldrovandi, sembra essere un gesto provocatorio.

Possiamo infatti ricordare Gianni Tonelli per delle espressioni che potremmo eufemisticamente definire fin troppo irrispettose nei confronti della sorella di Stefano Cucchi e della madre di Federico Aldrovandi. Sempre Tonelli cercherà di temperare il dramma della Diaz durante il G8 di Genova giustificando la tortura avvenuta ai danni dei ragazzi rifugiati nella scuola. A Bologna, infine, ricordiamo la vicinanza di Tonelli ai macellai del VII reparto celere che nel tempo non si sono risparmiati dal massacrare manifestanti generalmente pacifici.

E proprio di tortura si parla quando, insieme all’immancabile Salvini, critica la legge contro la tortura (nonostante si tratti di una legge ridicola che non tutela volutamente nessuno e nessuna formulata come toppa dopo la condanna della Corte europea) pensandola come un accanimento nei confronti dei “servitori dello Stato”.
Le parti politiche a destra si stanno spingendo sempre oltre nel tentativo di legittimare i dispositivi di violenza dello Stato.

L’aria che si respira è, repetita iuvant, fascisteggiante e lo possiamo vedere ogni giorno sotto i nostri occhi, ogni volta che casi del genere ci mostrano il tentativo della nuova destra di spingere l’odio e la violenza verso il basso.

10 febbraio, foibe e dintorni: consigli di lettura #1

Questo è il primo articolo di una rubrica intesa a demistificare la retorica revisionista rispetto al fenomeno comunemente conosciuto come “le foibe” e al fantomatico “genocidio di italiani” commemorati dalle istituzioni italiane e dai neofascisti durante il “giorno del ricordo” del 10 febbraio.

Nell’intestazione: Italia, 1935-1936. Cartolina “umoristica” disegnata da Enrico De Seta e destinata alle truppe impegnate in Africa Orientale.


Dal 2004 a oggi, ogni volta che ci si avvicina al 10 febbraio si amplifica la retorica neofascista sulla questione delle “foibe” e si intensifica la vulgata revisionista.

Quattordici anni fa lo Stato italiano, per pulirsi la faccia verso gli orrori perpetrati dal fascismo durante le campagne di colonizzazione dell’Africa e della seconda guerra mondiale, ha istituito la “giornata del ricordo” per ricordare le “vittime delle foibe” per mano dei partigiani jugoslavi.

Questa giornata, chiesta fin dal dopoguerra dalle estreme destre neofasciste, nasce nel chiaro tentativo di una “riappacificazione” della memoria che è sostanzialmente manipolazione della storia – come prova la numerosa storiografia scientifica prodotta in anni di seri studi storici contro le speculazioni pseudostoriche alla Pansa -, un tentativo di equiparare gli oppressori con i liberatori, i criminali di guerra con i combattenti per la libertà, e non a caso gli odierni successori dei regimi nazifascisti con le forze che praticano antifascismo reale. Perché è evidente che il 10 febbraio non è altro che un clamoroso regalo alle formazioni neofasciste e a tutta quella galassia nero-bruna che negli anni, grazie alla complicità delle sinistre “democratiche” e del sistema mediatico, ha sferrato un attacco revisionista rispetto alle vicende accadute durante il ventennio fascista, la guerra mondiale, la guerra di liberazione, il dopoguerra: questa galassia ha avuto in regalo il “proprio Olocausto”, un fantomatico “genocidio di italiani” dove potersi vendere finalmente come “povere vittime” e per potersi ripulire delle brutalità e degli orrori compiuti e ancora oggi rivendicati.

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