0. Partiamo da un fatto fondamentale e da una domanda provocatoria.
Il fatto: oggi la questione fascista non è più solo una questione tecnica, legata al mero esercizio della forza, come fino a pochi anni fa, ma è diventata una questione politica, legata anche all’esercizio dell’egemonia, quindi del potere. La stessa cosa vale per la teoria e la prassi dell’antifascismo, la cui crisi crediamo sia connessa alla più complessiva crisi della militanza come prassi organizzata della rottura. Da qui occorre inevitabilmente partire.
Noi ci chiediamo: che cos’è, che senso ha l’antifascismo militante oggi, nell’epoca in cui quello che noi definiamo fascismo si è strutturato a livello globale, in tutte le sue sfumature verdi, brune e nere, non solo in specifiche organizzazioni politiche, ma si è imposto nel senso comune diffuso, nel modo di pensare e interpretare le relazioni sociali, si è diluito nella “società civile” e nell’“opinione pubblica”, è stato eletto democraticamente dalla maggioranza di quella composizione di classe a cui storicamente facciamo riferimento, è diventato l’atmosfera che si respira nei bar, negli stadi, sui mezzi pubblici, nei quartieri periferici e nelle province dimenticate? Un fascismo che, attraverso processi acceleratisi dopo la crisi del 2008, è stato normalizzato, si è reso compatibile, integrato e funzionale all’interno dei meccanismi di questa democrazia liberale in inesorabile disfacimento, nella discriminazione legalizzata che fa capo alla ridefinizione politica su base etnica della “comunità dei liberi” uscita dai rapporti tra classi nel post-45, nei centri di comando tecnocratici nazionali e sovranazionali.
Oggi quello che noi chiamiamo fascismo, ma è più simile al nazismo, sembra “diffuso ovunque” nelle società del tardo capitalismo in putrefazione. Che senso ha fare antifascismo come progetto politico, e non come mero rifiuto a vedere dei nazisti girare per le nostre città, mentre uno come Salvini democraticamente eletto alle leve del potere? Su quali basi teoriche, pratiche e di immaginario deve strutturarsi la rinascita di un nuovo antifascismo adeguato alle sfide che pone il presente?
1. Noi siamo molto d’accordo con chi dice che l’antifascismo del XXI secolo è ancora tutto da costruire. Utilizziamo e siamo portati ad utilizzare, come riflessi pavloviani, categorie e prassi elaborati in epoche storicamente differenti, in fasi concretamente superate. La nostra concezione del fascismo, mediamente diffusa, i nostri slogan, il nostro immaginario, risalgono quando va bene alla situazione che i compagni dovettero affrontare negli anni ‘70, quando va male si rifà a certe categorizzazioni meccanicistiche risalenti al dibattito degli anni ’20 e ’30, per non parlare di certo folclore legato all’antifascismo istituzionale. Attenzione: non stiamo dicendo che va tutto buttato via: anzi, va tutto tenuto e trasformato ai nostri fini, noi siamo i primi, attraverso l’immaginario, le iniziative culturali e politiche, a cercare di ricucire i fili di una memoria di parte che è storia collettiva, che va dagli Arditi del popolo al Roter Frontkampferbund tedesco, dalle Brigate internazionali in Spagna alla guerriglia urbana dei Gap, dalla Volante Rossa alle magliette a strisce del luglio ’60, dai Katanga ai cacciatori di nazisti degli anni ’80. Noi ci sentiamo pienamente parte, nel nostro piccolo, di questa storia. Per noi, per la storia della nostra terra, è importantissimo il richiamo alla Resistenza. Va selezionato e assunto tutto quello che ci serve e può essere utile dalle esperienze storiche di lotta al fascismo delle classi subalterne, con un occhio al presente e un fine anche identitario, per attualizzarle.
Quello che vogliamo dire è che oggi, sul fronte dell’antifascismo come quello complessivo di rottura dell’esistente, manca tragicamente un’analisi concreta della situazione concreta. Manca un pensiero strategico. Manca l’inchiesta.
Dal generale al particolare: cosa sappiamo davvero, oltre i luoghi comuni e i facili slogan, del nostro nemico? Cos’è il fascismo oggi? In che forme si esprime organizzativamente e molecolarmente? Quali sono le sue tattiche e la sua strategia? Qual è il suo obiettivo e come si sta muovendo? Come si articolano le diverse forze che compongono il suo fronte e quali sono i rapporti tra di loro? Attraverso quali armi concettuali, organizzative, finanziarie, psicologiche ed emotive combatte? Qual è il suo ruolo nella crisi (economica, politica, sociale, etica; dei partiti, della rappresentanza, delle ideologie, dell’informazione, ecc.)? In che rapporto si pone e a quali esigenze risponde rispetto ai diversi interessi di classe nel contesto italiano, europeo e internazionale? In che rapporti si pone con il populismo, con il sovranismo, con il rossobrunismo (di quest’ultima categoria abusata e inflazionata occorrerebbe una disamina a parte)? In che tipo di rapporti si pone con determinati partiti (Lega), con lo Stato, con l’Unione europea? Se e che tipo di discontinuità c’è stata dopo il voto del 4 marzo? In quali forme attecchisce localmente? In quale frazioni di classe? Attraverso quali relazioni, esigenze, luoghi?
3. Conoscere il nemico, i suoi interstizi e le sue contraddizioni, meglio di lui stesso è una priorità se lo si vuole combattere e sconfiggere. Come leggerne la tendenza. Possedere la complessità. Si è smesso di inchiestare e di andare a fare un’analisi approfondita e complessiva di quello che all’oggi è diventato l’unico vero e concreto movimento globale. Ci manca l’equivalente del rapporto di Dimitrov al VII congresso dell’Internazionale comunista. Ci manca il nostro Corso sugli avversari.
Occorre, secondo noi, ragionare sulle difficili linee di indirizzo di un antifascismo che superi l’occasionalità del grosso evento isolato e il ridicolo leitmotiv dell’“antifascismo quotidiano” praticato dentro il ghetto delle quattro mura degli spazi sociali senza scadere nell’emergenzialità del rincorrere i fascisti sul proprio terreno d’iniziativa: chi rincorre perde sempre, quando non viene logorato. Questo si può fare solo tornando a ragionare stabilmente con prospettive di medio e lungo periodo, una volta elaborato un pensiero strategico collettivo.
Ma non vogliamo dilungarci troppo. Queste sono solo suggestioni, ipotesi, spunti da cui partire a farci le domande giuste, ovvero quelle necessarie, prima di trovare delle risposte che vadano oltre i nostri limiti. Ecco, partiamo anche dai nostri limiti, e da alcuni punti che ci sembrano imprescindibili:
– l’antifascismo vince quando si lega alle istanze materiali espresse dai subalterni: quando si lega alla composizione di classe all’interno di un programma più complessivo di trasformazione dell’esistente;
– l’antifascismo non è conservazione dell’esistente, non può diventare conservatore per fermare i reazionari, pena la sua estinzione;
– il contrario di fascismo non è democrazia ma lotta di classe. Oggi i fascisti sono i più strenui difensori di questa democrazia.
Ci vediamo a Bergamo! #ANTIFA