Sangue nostro

Abbiamo appreso, nella giornata di ieri, dell’ennesima morte bianca di un lavoratore che stava facendo manutenzione all’interno di uno degli innumerevoli stabilimenti ceramici dislocati tra Maranello, Sassuolo e dintorni.

Ancora una volta una persona come noi è uscita alla mattina per andare a lavorare e non è più tornata a casa alla sera dalla propria famiglia o tra le sue mura di casa.


Parlare di morte sul lavoro già di per se è assurdo, ma parlarne dopo la morte vera e propria come successo ieri è doppiamente assurdo e per qualunque analisi o giudizio è già troppo tardi.

Migliaia e milioni di soldi spesi in questi anni dalle aziende (e finanziati da sigle imprenditoriali, padronali, quali Confindustria ad esempio, in nome della famigerata e “fighissima” innovazione “smart” targata industria 4.0) per sistemi di controllo sull’efficienza di ogni singolo lavoratore o lavoratrice, sul grado di “produttività” e quindi anche di sfruttamento di chi ogni giorno si sporca le mani su una macchina utensile o in un qualsiasi reparto di lavoro, su sistemi tali per cui i ritmi e i flussi produttivi sono sempre più veloci e continui e di pari passo nessun o quasi nessun tipo di ragionamento sulla prevenzione dei rischi e della verifica da parte dei padroni o dei loro demandati di come si lavora e di cosa succede ogni giorno all’interno degli stabilimenti di riferimento viene fatto.

Se è vero che ieri (e chissà da quanto tempo) quel lavoratore era su quel tetto e operava in un certo modo che ha poi decretato la sua morte qualcuno gli doveva dire che non doveva e poteva starci su quel tetto e quel qualcuno si chiama padrone.

Il contributo quotidiano di sangue della classe operaia e dei lavoratori sull’altare dei profitti padronali è un bollettino di guerra. Questi non possono essere considerati “incidenti”, ma omicidi provocati da un sistema sociale ed economico ben preciso.

Per fermare questa strage occorre lottare contro di esso.