Antifascisti/e oggi come ieri: la memoria è un ingranaggio collettivo

Con il cuore e la mente ad Afrin nella Siria del nord, dove le partigiane e i partigiani curdi, arabi, siriani, turcomanni e internazionali, tra cui decine di italiani, stanno difendendo con estremo sacrificio la città, il suo popolo e la rivoluzione confederale del Rojava dall’aggressione fascista di Erdogan e dalle bande di tagliagole jihadisti, oggi siamo andati a Navicello a rendere omaggio ai nostri partigiani caduti nella lotta contro il nazismo e il fascismo.

Ragazzi, lavoratori, “banditi” come noi, che quando è venuto il momento hanno fatto una scelta piccola ma grandissima: quella di non restare più indifferenti, di non stare più a guardare, quella di non accettare più la barbarie, l’oppressione e lo sfruttamento, e di combattere il fascismo come potevano: dall’offrire un tozzo di pane a chi, ricercato, chiedeva rifugio, a prendere le armi contro la bestia nazista e i suoi sgherri in camicia nera. Un esempio di coraggio, partecipazione e militanza antifascista che parla ancora oggi a tutti noi che viviamo in questi tempi incerti e feroci.

Quinto Bozzali, Agostino Ferriani, Ivano Garuti, i fratelli Pietro e Valentino Gasparini, Renzo Grenzi, Huber Panza, Fabio Pellacani, Eugenio Tavoni, Ivaldo Vaccari e Angelo Zambelli: a voi oggi rendiamo onore.

9 marzo 1945: la strage fascista di Navicello

All’inizio di febbraio del 1945 la Resistenza modenese si adopera per superare le difficoltà dell’inverno e assestare i colpi decisivi alle forze occupanti. La lotta di Liberazione si avvicina alla fase decisiva, ma è costretta a fare i conti con le violenze naziste e con i feroci desideri vendicativi che animano i fascisti.

Quando la 29° Panzer-Grenadierdivision si stanzia nella “Bassa” per un periodo di riposo, le Brigate Nere si sentono più protette e avviano una serie di operazioni anti-partigiane con l’obiettivo di infliggere colpi durissimi ai “traditori” della patria e dell’Asse. Il 20 febbraio 1945 i gappisti della pianura uccidono due soldati tedeschi nei pressi di Bomporto. La risposta delle forze di occupazione è immediata, ma i presidi germanici preferiscono affidare ai propri sottoposti fascisti la responsabilità di punire la popolazione delle terre del Panaro: fra il 20 febbraio e il 3 marzo 1945 un grande rastrellamento delle Brigate Nere sconvolge le campagne di Nonantola, Villavara e Bomporto: avvengono incendi di abitazioni, furti e saccheggi. Le azioni combinate e i blitz repentini provocano parecchi danni: alcune case vengono incendiate e molte famiglie subiscono intimidazioni di vario genere, mentre diversi partigiani vengono arrestati e condotti nelle carceri di Modena.

Il 9 marzo i fascisti della Brigata Nera di Nonantola, guidata da Ascanio Boni, si recano nelle carceri di Sant’Eufemia e portano a termine l’ordine di rappresaglia che è partito dai comandi tedeschi: caricati su un automezzo dieci uomini scelti fra gli ostaggi che sono stati catturati pochi giorni prima, li conducono sull’argine del Panaro nei pressi di Navicello – in uno dei punti più trafficati e visibili della zona – e, dopo aver torturato alcuni dei più coinvolti nel movimento partigiano, li uccidono con diversi colpi di arma da fuoco

La strage del 9 marzo 1945 è uno dei perni della memoria delle violenze naziste e fasciste nella provincia di Modena: il ricordo della fucilazione ha accompagnato le comunità fin dall’immediato dopoguerra e, anche se il monumento ha subito un oltraggio vandalico, continua a tenere viva la consapevolezza dell’orrore e della barbarie che ancora oggi queste ideologie, organizzate e diffuse, rappresentano per chiunque sogni un mondo più giusto, eguale e libero.

Per approfondire: http://www.straginazifasciste.it/wp-content/uploads/schede/Navicello_9_marzo_1945.pdf